Il controllo semantico della gioventù digitale.
Il conclave visto da Taipei.
Note dal campo.
Parola chiave: 青年的责任.
Il controllo semantico della gioventù digitale

Un recente articolo apparso nella sezione Opinioni del People’s Daily ha attirato l’attenzione su un tema curioso ma centrale per chi osserva l’evoluzione culturale della Cina: il linguaggio gergale dei giovani online. Espressioni come “尊嘟假嘟” ((=真的假的,davvero o no? ), “你个老六” (=subdolo), “笑鼠了” (=笑死了,LOL), “修勾” (=小狗cucciolo), “丸辣” (=完了, finito), “鸡你太美” (=真你太美 sei veramente bella), e “awsl” (=ah,我死了, ah sono morto) - si moltiplicano nelle chat e nei video brevi, spesso come storpiature fonetiche e giocose del cinese standard. Queste espressioni vengono usato speso anche sopra a immagini creando co´si nuovi Meme e sono entranti in uso anche in ambiti pubblicitari. La creatività linguistica, però, secondo l’articolo, cela rischi profondi. Queste distorsioni fonetiche giocose o riferimenti alla cultura pop sono usati in modo umoristico online per esprimere sorpresa, sarcasmo, simpatia o derisione.
Il punto dell´articolo, inizialmente incentrato sulla comprensibilità intergenerazionale: questi linguaggi vengono definiti come strumenti per delimitare identità di gruppo e costruire barriere sociali. L’autore avanza un’osservazione importante: il gergo digitale può erodere la fluidità del cinese standard e – qui si apre la cornice ideologica – influenzare negativamente le “tre visioni (三观)” fondamentali per ogni cittadino della nuova Cina:
世界观 (shìjièguān) – visione del mondo
人生观 (rénshēngguān) – visione della vita
价值观 (jiàzhíguān) – sistema di valori
La preoccupazione di fondo è che certi codici linguistici, spesso sarcastici o nichilisti, possano generare una cultura giovanile distaccata, addirittura ostile all’ideologia dominante. Da qui il richiamo a mantenere un equilibrio tra spontaneità espressiva e orientamento politico, soprattutto in un’epoca in cui il linguaggio è anche campo di battaglia algoritmica.

A conferma di questo clima, un altro articolo celebra il ruolo della Lega della Gioventù Comunista nel “mobilitare le energie giovanili per la modernizzazione cinese”. Citando Xi Jinping, si sottolinea che i giovani devono “ricordare le lotte del Movimento del 4 maggio” e “farsi carico di responsabilità storiche” nel contribuire al ringiovanimento nazionale.
Tra le righe si legge un messaggio molto chiaro: lo Stato riconosce nei giovani un capitale strategico, ma ne teme le deviazioni, soprattutto in un contesto dove la mobilità sociale non è più garantita e la disaffezione verso le grandi narrazioni patriottiche si fa sentire online. Da qui la necessità, ribadita più volte nei documenti ufficiali e nei discorsi di Xi Jinping, di rafforzare l’“educazione politica” delle nuove generazioni e il loro senso di appartenenza alla missione collettiva.
La Lega della Gioventù Comunista viene così presentata come un veicolo privilegiato di questa missione: un’organizzazione che non si limita più ad attività simboliche o di facciata, ma che deve tornare a essere uno strumento operativo nella costruzione del “nuovo modello di sviluppo” del Paese. I giovani sono chiamati ad assumere ruoli attivi e visibili nei settori considerati più sensibili: innovazione scientifica e tecnologica (per l’autonomia strategica), rivitalizzazione rurale (per il riequilibrio delle disuguaglianze territoriali), difesa del territorio e sorveglianza dei confini (per la sicurezza nazionale in tempi di tensioni geopolitiche crescenti).
In questo quadro, la “resilienza ideologica” diventa una priorità. L’accento sulle tre visioni (世界观, 人生观, 价值观), che in questo articolo viene ribadito, non è soltanto un appello educativo, ma una formula di governo dell’immaginario: una cornice per modellare i desideri, orientare le ambizioni, definire ciò che è lecito sognare. La frase “种树看树根,育人看三观” – Per coltivare un albero bisogna curarne le radici; per formare una persona, occorre partire dalle sue tre visioni – sintetizza questo principio pedagogico-politico. Le “radici” ideologiche devono essere solide, ben piantate, e resistenti ai venti del cinismo, dell’individualismo o del nichilismo, spesso ritenuti sottofondo dei linguaggi giovanili in rete.
Non si tratta solo di controllare il linguaggio, ma di orientare il pensiero. Nella visione del Partito, una gioventù forte è quella che sa sopportare le difficoltà, affrontare i compiti storici e, soprattutto, credere che tutto ciò abbia senso dentro il progetto collettivo del “ringiovanimento nazionale”. Il rischio più temuto, sebbene non esplicitato, è che i giovani smettano di crederci. Ecco perché il linguaggio – anche quello apparentemente frivolo delle meme culture – viene guardato con tanta attenzione: perché è lì che si scrivono, e si cancellano, le “radici” delle future élite cinesi.
Il conclave visto da Taipei
Con l’annuncio della morte di Papa Francesco, l’attenzione dei media internazionali si è subito concentrata sull’identikit del prossimo pontefice: da dove verrà? Sarà un Papa “globale”? Ma al di fuori del perimetro eurocentrico, la notizia ha acceso riflessioni di altro tipo. A Taiwan, ad esempio, la morte del pontefice ha riacceso un dibattito latente: quale sarà l’orientamento del Vaticano nei confronti delle due Cine?
Non è solo questione di fede: la Santa Sede è infatti l’unica entità sovrana europea che mantiene relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, e non con la Repubblica Popolare Cinese. Questo dato, spesso ignorato in Occidente, fa sì che ogni movimento vaticano venga letto in chiave geopolitica da Taipei, con attenzione quasi militare.
Dal 2018, infatti, il Vaticano ha siglato con la Cina un accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, rinnovato più volte (da ultimo per altri quattro anni nel 2024). L’accordo – sebbene presentato come un ponte tra la Chiesa “ufficiale” cinese e quella clandestina fedele a Roma – è stato duramente criticato da più parti per la sua opacità e per le sue implicazioni sulla libertà religiosa. In termini concreti, ha permesso a Pechino di proporre i candidati vescovili, lasciando però al Papa il diritto di veto.
Taipei osserva tutto questo con crescente preoccupazione. La paura è che, in un futuro non troppo lontano, la Santa Sede possa ricalibrare i suoi rapporti diplomatici, spostando il riconoscimento da Taiwan alla Cina continentale. In questo senso, il prossimo conclave sarà seguito con il fiato sospeso: non solo per sapere chi guiderà la Chiesa cattolica, ma anche per capire che tipo di equilibrio il nuovo papa intenderà mantenere tra le due sponde dello Stretto.
“NOTE DAL CAMPO”
Osservare oggi la sfera digitale cinese significa entrare in un ambiente denso di significati doppi, codici condivisi e retoriche ambivalenti. Un luogo in cui il linguaggio non è mai neutro, ma sempre più carico di implicazioni politiche, affettive, identitarie. E dove il gesto stesso di scrivere – o di leggere – richiede un certo grado di “traduzione interna”, di decifrazione continua. Se un tempo i segnali più interessanti arrivavano dai margini del discorso ufficiale, ora è proprio nei punti più centrali – nei comunicati, nei discorsi, nei termini apparentemente convenzionali – che si concentrano i segnali da interpretare.
La gioventù cinese è oggi al centro di una narrazione duale: da un lato viene incoraggiata, celebrata, investita di fiducia e aspettative; dall’altro viene osservata, regolata, sorvegliata nei suoi modi di esprimersi, nei suoi riferimenti culturali, nelle sue “visioni” personali. La spontaneità diventa sospetta, il gergo diventa un campo di battaglia. Il Partito sembra dire: siate giovani, ma solo nel modo giusto.
Eppure, in questi stessi spazi, si insinuano anche micro-crepe, forme di creatività sotterranea, ironia, ridefinizione del senso. Nonostante i richiami all’ordine, la rete resta un luogo dove si sperimentano linguaggi nuovi e si mettono alla prova le frontiere del dicibile.
E Taiwan? L’isola, spesso percepita in Occidente solo come punto nevralgico della competizione geopolitica, è in realtà un osservatorio prezioso per capire la posta in gioco simbolica di certi movimenti. Il futuro delle relazioni con il Vaticano è solo un tassello: più in generale, la gioventù taiwanese si muove in un’area grigia di incertezza, tra identità fluide, tensioni storiche e un sistema democratico che ancora garantisce spazi di dibattito e critica. Ma anche lì, la pressione aumenta: dalla guerra cognitiva alla diplomazia culturale, la sfida per i significati è aperta.
In fondo, ciò che unisce le due sponde dello Stretto, e che parla anche a chi osserva da fuori, è la consapevolezza che il futuro si gioca non solo sui territori e sulle alleanze, ma sulla capacità di orientarsi tra le parole. Di leggere ciò che viene detto. E soprattutto, ciò che non viene detto.
Parola chiave: “青年的责任” (qīngnián de zérèn) — “la responsabilità dei giovani”.
Un’espressione apparentemente neutra, che negli ultimi anni ha assunto un significato sempre più prescrittivo. Da richiamo etico si è trasformata in comando politico, associata a sacrificio, militanza e adesione incondizionata agli obiettivi del Partito. Anche nel lessico delle campagne sociali e mediatiche, “responsabilità” viene spesso accostata a concetti come “lotta” (奋斗), “missione” (使命), “disciplina” (纪律), mentre si svuota di sfumature soggettive o aspirazioni personali.